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EMERGENZA COVID-19 E INTERVENTO PSICOLOGICO IN OSPEDALE


Covid: La percezione del rischio del contagio e dei suoi effetti

Il Covid è un’emergenza che assunto i caratteri dell’epidemia mondiale in modo progressivo. Partendo da una nazione, in cui il virus sembrava circoscritto e isolato, ha creato una maxi-emergenza sanitaria in cui i rischi di contagio e gli strumenti di tutela si sono anch’essi resi più evidenti nel corso dei mesi, tant’è che ad oggi ci sono in Italia tra i morti: 69 medici, 23 infermieri (di cui 2 suicidi), ma il numero di morti tra gli psicologi (4) supera quello dei farmacisti (3) , dei tecnici radiologi (3) e delle ostetriche (1) e migliaia di contagiati nel personale che vigila, cura, trasporta, pulisce (fonte Quotidiano Sanità, 2 aprile 2020). Il fattore della progressione delle informazioni ha prodotto fino agli inizi di marzo 2020 una situazione in cui i malati cronici, gravi, oncologici, hanno proseguito le loro attività di controllo ambulatoriale, di esecuzione di esami, di terapia o ricovero. Poi c’è stato un cambio di registro anche piuttosto repentino e per certi versi coraggioso in Italia (se confrontato con altre nazioni), con raccomandazioni, restrizioni, azioni di tutela incisive sul piano sanitario e del comportamento sociale. In ospedale, tra i sistemi di tutela del malato verso se stesso e nei confronti degli altri, sono stati introdotti la valutazione del triage medico-infermieristico prima di fare accedere il paziente a visite ed esami, è stato attrezzato un ambiente apposito dove fare confluire i soggetti al Pronto Soccorso, inoltre è stato precisato l’uso dei protettivi indispensabili: mascherine, vestiario (come, dove, quando), disinfettanti, la distanza sociale e ambienti dedicati.


La percezione di rischio in tutti è stata dunque progressiva.

Sì. Prima ci sono stati i morti (che da lontani in Cina si sono fatti prossimi- vicini, in Italia) e poi è arrivata la consapevolezza che il rischio non riguarda chi è esposto ad altre patologie concomitanti, come sembrava all’inizio riguardare i grandi anziani e gli immunodepressi, ma potenzialmente tutta la popolazione con una prevalenza di rischio di aggravamento per i maschi.

I numeri e la guarigione.

Un grande sforzo è stato posto nel nostro paese nel dare informazione degli effetti dell’epidemia: nuove infezioni, guariti, morti, così come è avvenuto all’estero, all’inizio. Resta una domanda aperta: i guariti lo sono da un punto di vista virologico e non hanno più sintomi oppure il tampone è negativo e proseguono ad avere sintomi medio o lievi e devono proseguire il ricovero e/o la cura a casa e/o in un centro dedicato Covid? Andrebbe precisato, perché la situazione cambia a livello del soggetto a causa dell’isolamento dai familiari, della sensazione di essere in una situazione ancora a rischio per sé in primis ma anche per i suoi affetti. Gli effetti emotivi sono in questo caso significativi perché c’è un protrarsi della percezione di rischio e quindi di sofferenza e di paura.

Gli Psicologi che già lavorano in ospedale quando hanno avuto la percezione di rischio?

E’ facile rispondere: non è stata immediata come non lo è stata nella popolazione. La percezione che si trattasse di un rischio serio è stata confermata delle disposizioni aziendali e regionali in merito al da farsi nell’ambiente ospedaliero (e sociale), ma anche derivate dalla capacità captativa di essere umani, di ciascuno, di sapere ascoltare e filtrare ciò che è importante da quello che deve stare nello sfondo, dal livello personale di paura del contagio e, professionalmente, dal livello di comprensione e accoglienza del bisogno di proteggere i pazienti dai rischi e quindi se stessi dal rischio di essere agenti di contagio e di essere contagiati.

Chi tra gli Psicologi è in prima linea a contatto fisico con i pazienti che necessitano di cure?

In prima linea sono gli psicologi di un servizio sanitario essenziale, chi è a contatto con l’utenza attraverso attività di volontariato, chi è accreditato presso strutture pubbliche seppure con attività prevalente o parziale nel privato, chi nel privato prosegue individualmente a incontrare pazienti.


Quali sono gli obiettivi di intervento psicologico?

- se stessi: conoscersi consente di compiere azioni che fanno stare tranquilli tenendo conto delle cautele, utilizzando i presidi necessari e svolgendo le attività di cui ci si sente capaci: per cui in una situazione di rischio, da tutti riconosciuto, va bene il colloquio vis a vis ma anche il colloquio telefonico con o senza quello visivo attraverso zoom, skype o altro. Si tratta di trovare una modalità di interagire che è nuova rispetto alle abitudini. In ospedale vanno ovviamente avvisati i curanti di quanto è necessario a loro conoscere dopo avere effettuato il colloquio (ad esempio: se il paziente che aveva respinto una cura necessaria, es. il CPAP respiratorio, mostra di volerlo riprendere, perché si è tutt’uno nello stesso obiettivo). E’ preferibile, tenuto conto dello scopo, la risposta di visita che possa essere vista, di solito informatizzata.

- i pazienti COVID e i familiari: sono entrambi obiettivi di intervento, il malato per l’isolamento e la lotta per guarire che prolunga il tempo dell’attesa di stare bene, i familiari per la distanza che rimane qualunque sia il livello di gravità fino all’esito infausto, mortale, perché sono bloccati fisicamente dal muoversi ed emotivamente dall’elaborare quello che sta succedendo. Per il caso di morte non hanno nemmeno avuto il tempo necessario mancando addirittura un contatto e il saluto. Privilegiare il colloquio telefonico per chi è ricoverato in area COVID ma in grado di comunicare, permette di preservare i presidi che sono preziosi per il personale che cura e pulisce (medici, infermieri, oss, donne delle pulizie) e di non rubare il ruolo che prioritariamente il paziente vorrebbe fosse dato alla sua famiglia. Il colloquio telefonico e con videochiamata può sostituire degnamente il più opportuno incontro, poiché c’è in tutti anche nel paziente un livello di comprensione, almeno ora, che si tratta di emergenza. In particolare il paziente che può comunicare ha bisogno di essere aiutato a sopportare la situazione in cui si trova, a ridurre il senso di paura, a collaborare alle terapie che vengono proposte, a desiderare di sentire le persone care e se possibile di vederle in video. Chi è a casa ed è solo dovrà farsi forza e trovare risorse nella solitudine ed essere incoraggiato a riconoscere e a rintracciare chi può essere di aiuto, altrimenti sarà indirizzato a usare i sistemi solidali (associazioni ad esempio). I familiari sono esonerati dal ruolo e potranno percepire attraverso il colloquio che la loro distanza non è colpevole ma è parte della cura. Tra i parenti dovrebbero avere un’attenzione particolare i bambini che vedono sparire non solo la quotidianità delle abitudini ma un familiare, perché isolato in casa, distanziato in ospedale, o addirittura che non ritornerà più. I servizi di psicologia dell’età evolutiva hanno in questo caso un ruolo essenziale magari in collaborazione con i colleghi della struttura ospedaliera.


- gli operatori: ora sono in fase di emergenza, la loro formazione li spinge ad agire portando cura e assistenza, contenendo la preoccupazione e l’ansia per le conseguenze che potrebbero avere e che affrontano proteggendosi con i presidi necessari, facendo corpo tra loro con parole di sostegno e stringendosi attraverso la messaggeria specifica in cui si danno informazioni, incoraggiamenti e consegne (whatsapp in particolare), evitando di mostrare lo stato di sofferenza. Il problema si presenterà sul fare dello spegnersi della pandemia. Si potranno verificare situazioni di vulnerabilità a sviluppare burn-out, con varie modulazioni anche sintomatologiche -tra esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotto senso di realizzazione-in particolare l’acutizzarsi dell’ansia con sintomi che potrebbe essere conclamati e un esaurimento emotivo che riversa i suoi effetti nella vita personale. Ma ora è importante che attraverso i gesti di simpatia e di sostegno (come un pollice in alto, stringersi le mani a simboleggiare ti stringo, un saluto, un bacio lanciato) che gli operatori che curano e assistono non siano solo curativi verso i malati comunicanti; i curanti e chi fa assistenza sia presente nel compito umano, che la fretta e la complessità delle attività che di norma eseguono consentono poco. Li farà stare bene poi. Sono favoriti i gruppi di lavoro che in passato hanno fatto formazione psicologica e che hanno imparato a gestire le emozioni.


Nota: se potessi aggiungerei al bollettino della protezione civile dei morti:

“oggi se ne sono andate tante storie di vita, tot..., tante persone per le quali, sappiate voi parenti, che è stato fatto loro un gesto di solidarietà e di amicizia che va oltre la cura, hanno avuto un ambiente che si è davvero preso cura di loro

(LNadalini)



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